Barbara Allason

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Anni venti. Da destra: Barbara Allason, la sorella Silvia, la nipote Anita Rho, Franco Antonicelli e il figlio Gian Carlo.

Barbara Allason (Pecetto Torinese, 12 ottobre 1877Torino, 20 agosto 1968) è stata una scrittrice, germanista e traduttrice italiana.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Nacque a Pecetto Torinese nel 1877, dalla viennese Pauline Kuntzner e da Ugo Allason, generale di artiglieria e scrittore di cose militari[1].[2] Dopo gli studi all'università di Napoli e di Torino si laureò con il noto germanista Arturo Farinelli, al quale rimase legata da amicizia e stima reciproca, anche quando Farinelli, diventato accademico d'Italia, sostenne il regime fascista[1]. Si appassionò agli autori tedeschi Goethe, Nietzsche, Schiller e Lessing, dei quali curò le pubblicazioni in lingua italiana.

Durante la prima guerra mondiale lavorò come corrispondente di guerra per i periodici Gazzetta del popolo e La Donna (supplemento de La Stampa)[3]. In questa occasione strinse amicizia con Annie Vivanti, la quale convinse Allason a pubblicare il suo primo romanzo, Quando non si sogna più. Nel 1920 Vivanti si trasferì a vivere nell'appartamento torinese di Allason, e lì Allason ebbe l'opportunità di conoscere intellettuali ed artisti come Lionello Venturi, Riccardo e Cesarina Gualino[4].

Dopo essere stata per molti anni docente di ruolo di letteratura tedesca nelle scuole medie superiori, nel 1928 ottenne la libera docenza in letteratura tedesca presso l'Università degli Studi di Torino, per merito in particolare di un saggio sul romanticismo tedesco[5]. Precedentemente aveva anche pubblicato Il tesoro dei Nibelunghi[6] e L'Edda e i Nibelunghi[7], e continuava a collaborare a numerosi giornali e riviste tra cui: La Gazzetta delle Puglie, Il Giornale d'Italia, la Gazzetta del popolo, L'Ambrosiano, La Lettura, Le Vie d'Italia.

Nel 1929 fu però sospesa dall'attività di insegnamento per "incompatibilità con le generali direttive politiche del governo"[8], poiché aveva scritto una lettera personale, esprimendo la sua solidarietà, al filosofo Benedetto Croce, che aveva criticato in Senato, con un discorso fermo e pacato, la firma dei Patti Lateranensi ritenendoli irrispettosi del principio di laicità dello Stato ed era stato per questo dileggiato e insultato in aula[1].

Amica di Piero Gobetti, fu un'antifascista attiva, militante nel gruppo Giustizia e Libertà. Tra le tante azioni cospirative partecipò al tentativo fallito di far evadere dal carcere l'intellettuale Ernesto Rossi. La sua villa collinare di Pecetto era inoltre il punto di riferimento abituale delle riunioni clandestine degli antifascisti torinesi.
Nel corso del processo a Leone Ginzburg, tenuto a Torino nel 1934, venne infine arrestata dall'OVRA per collaborazionismo. Nel corso del suo interrogatorio accusò Leone Ginzburg d'essere uno dei capi dell'associazione sovversiva Giustizia e Libertà. Dopo aver indirizzata una lettera di supplica a Benito Mussolini, venne graziata e liberata con una semplice diffida.

Nel 1909 dal matrimonio con Carlo Federico Wick ebbe il figlio Gian Carlo. Infine si ritirò a Torino dove rimase fino alla morte avvenuta nel 1968, a novantuno anni[1].

Riconoscimenti[modifica | modifica wikitesto]

Il Comune di Torino le ha intitolato una via in zona Lingotto e lo stesso ha fatto il Comune di Pecetto Torinese[9]. A Pecetto anche la Biblioteca comunale (sita in piazza della Rimembranza 9) è stata a lei intitolata. La biblioteca raccoglie libri e testimonianze delle sue opere.

Opere[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d Treccani.
  2. ^ Non di origine tedesca, come si disse, ma torinese. Il cognome Allason deriva da un originale Alasone, come riferì la stessa Barbara Allason in Vecchie ville vecchi cuori, Aragno, Torino, 2008, p. 74
  3. ^ Merz p. 162
  4. ^ Merz p. 165
  5. ^ Barbara Allason, Bettina Brentano : studio sul Romanticismo tedesco, Bari, Laterza, 1927, SBN IT\ICCU\UBO\0118978.
  6. ^ Barbara Allason, Il tesoro dei Nibelunghi, Milano, Sonzogno, 1921, SBN IT\ICCU\MIL\0572959.
  7. ^ Barbara Allason, L'Edda e i Nibelunghi, raccontati ai giovani italiani, Milano, Sonzogno, 1926, SBN IT\ICCU\CUB\0012902.
  8. ^ con decreto ministeriale 10 agosto 1929 (fonte Treccani)
  9. ^ via Barbara Allason, su google.it.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Lucia Strappini, Allason, Barbara, su treccani.it, Treccani. URL consultato il 24 novembre 2018.
  • Angela Arceri e Romina Capello, Esercizi di stile e libertà. Barbara Allason, tra cospirazione e appassionato desiderio di scrivere, Torino, SEB27, 2014.
  • Erica Moretti e Sharon Wood (a cura di), Noemi Crain Merz, "The Great Devourer. Annie Vivanti's Friendship with Barbara Allason (1917-1921)", in Annie Chartres Vivanti: transnational politics, identity, and culture, Treccani, 2016, OCLC 959922634.

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Controllo di autoritàVIAF (EN27878381 · ISNI (EN0000 0001 1023 2751 · SBN CFIV038186 · BAV 495/40586 · LCCN (ENn88600720 · GND (DE119293218 · BNF (FRcb16935968g (data) · J9U (ENHE987007314401005171 · WorldCat Identities (ENlccn-n88600720